Sedetevi a tavola in 5 regioni diverse e sarete pronti ad assaporare meravigliosi piatti tipici; quelli privi di contaminazioni o rivisitazioni; da nord a sud, ecco le nostre scelte per viaggiare con gusto!
Fonduta e Jambon de Bosses Dop
Nella fonduta valdostana (fondua, in dialetto) l’elemento principe è, naturalmente, la Fontina Dop, che si può acquistare ovunque in Valle d’Aosta. Il formaggio si priva della crosta, si taglia a dadini e si lascia riposare coperto di latte per qualche ora. Quindi si sgocciola, si pone in una casseruola insieme al burro (30-40 g per 400 g di Fontina) e a 4 tuorli d’uovo; la fusione deve avvenire a bagnomaria e sempre mescolando; la fonduta è perfettamente riuscita quando “fila”. Non occorre salare, ma si può aggiungere pepe al momento di versarla nelle ciotole preriscaldate; si gusta con fettine di pane tostate e tenute al caldo sotto un tovagliolo. Prima di sedervi a tavola, fate un giro attorno al Gran San Bernardo e non perdetevi il re degli antipasti: il Jambon de Bosses Dop o Dzambon de Brusa. Lavorato nel territorio del comune di Saint-Remy-en-Bosses, ha una produzione limitata che si attiene, tra i rigori dell’inverno e i risvegli primaverili, a un rigido disciplinare che lo rende unico.
Pizzoccheri e sciatt in Valtellina
Non si dice pizzoccheri senza dire Valtellina; e a Teglio, se ne volete sapere di più, c’è pure l’Accademia! Nessun dubbio quindi su dove gustare questo piatto e sulla sua originalità. Questa famosa varietà di pasta si ottiene impastando farina di grano saraceno e farina bianca, quest’ultima in misura di un quarto rispetto alla prima; una volta teso l’impasto viene tagliato a listarelle larghe mezzo cm e lunghe 7-8 cm.
Per preparare il piatto fumante (e fondente!) si cuociono in acqua salata le verze e le patate a piccoli pezzetti a cui si uniscono, dopo 5 minuti di bollore, i pizzocheri.
Altri 10 minuti e si trasferisce il tutto nelle ciotole calde con una schiumarola, cospargendo i vari strati con grana e Casera Dop grattugiati grossi.
Si completa la ricetta versando una generosa dose di burro fritto con l’aglio, senza mescolare.
E poi ci sono gli sciatt. Anche se il nome significa “rane” state tranquilli: gli anfibi non compaiono tra gli ingredienti di queste gustosissime polpette che, in Valtellina, entrano come i pizzoccheri nei menu dei ristoranti. E, come questi, si preparano con farina di grano saraceno, in dose maggiore rispetto alla bianca, e con la Casera Dop.
Il segreto per la perfetta riuscita: utilizzate per l’impasto acqua minerale gassata e un cucchiaio di grappa.
Se vi alzate da tavola “satolli”, la Valtellina, con le sue valli laterali, non è certo avara di opportunità per fare movimento: dalla passeggiata alla bici, dalle ciaspole allo sci, scegliete il vostro digestivo!
Canederli fumanti, in brodo o al sugo
Pane raffermo, latte e uova, tre ingredienti di cucina povera che si uniscono allo speck, il più tipico tra i salumi tirolesi, per dar forma a queste gustosissime polpette (o enormi gnocchi), da consumare in brodo, al sugo o con una colata di burro fuso. Gustateli a Merano, dopo la passeggiata lungo il Passirio, o nei rifugi sui sentieri delle Dolomiti. Oppure, ricetta alla mano, se siete in Alto Adige, preparateli da soli, in questo modo.
Per 8 canederli occorrono 250 g di cubetti di pane raffermo, 150 g di speck a dadini, 2 uova, 1/4 di latte, un cucchiaio di trito di cipolla, erba cipollina e prezzemolo tritati, un cucchiaio di burro, sale e pochissima farina (non oltre 30 g). Rosolate la cipolla nel burro e unite lo speck quindi passate in un recipiente cui avrete posto il pane. Ricoprite con le uova sbattute insieme al latte, al prezzemolo, all’erba cipollina e al pepe (salate pochissimo). Lasciate riposare per 15-20 minuti, quindi aggiungete la farina solo se l’impasto risultasse troppo liquido. Formate delicatamente delle palle di diametro di 5-6 cm, i canederli, appunto, che devono mantenere una consistenza porosa, né troppo dura, né troppo molle; in quest’ultimo caso, aggiustate con pan grattato e non con la farina. Indipendentemente da come li consumerete, dovete prima cuocerli in acqua bollente per 15 minuti a fuoco molto basso. Poi passateli nelle scodelle col brodo caldissimo o gustateli con burro fuso e salvia oppure con un semplice sugo di pomodoro cui aggiungerete un filo di olio extravergine di oliva e una spolverata di grana.
Tanti modi di dire piadina
Se sedervi a gustare una piadina vi sembra banale, leggete qui e preparatevi a un vero e proprio safari a caccia delle diversità. La piadina romagnola, la cui prima ricetta scritta risale al 1371, è preparata semplicemente con farina, acqua e sale cotta sulle piastre di metallo. Ma cercatela dove ancora viene cotta nei testi, cioè teglie di ghisa che, poste sulle braci, mantengono a lungo un calore elevato. Pronta per essere farcita in mille modi, dai salumi ai formaggi, alle salsicce e persino alla nutella o alle marmellate.
E se vi tenete lontani dalle spiagge, dove a sfornare piadine ci sono i classici chioschi, vi potrete improvvisare degustatori in grado di scoprire le differenze che caratterizzano la piadina nelle varie zone. Abbandonata quella riminese, molto larga e sottile, passate alla piadina dei colli cesenati, più alta e soffice, adatta a contenere ingredienti cremosi, come lo Squaquerone di Romagna Dop. Se poi vi spostate nel modenese, le piadine sono rimpiazzate dalle crescentine, o tigelle: tipiche proprio dell’appennino modenese, ottenute sempre da acqua, farina e sale, vengono cotte ponendo l’impasto su dischi di terracotta, le tigelle, appunto, arroventati e impilati tra loro. Se volete osservare da vicino questi manufatti, cercate il museo del Borlengo a Zocca – sì, il paese natale di Vasco Rossi – non lontano dai Sassi di Rocca Malatina, e scoprite i segreti di un’ulteriore versione della crescentina che, in questo caso, viene “cunzata”, cioè insaporita con aglio, rosmarino, lardo, e… beh, non possiamo dirvi proprio tutto!
Arancine e cannoli: benvenuti in Sicilia
Le famose arancine sono già disponibili nelle breve traghettata sullo Stretto, ma meglio aspettare di sbarcare: le regine dello street food siciliano si gustano meglio su una panchina al sole in attesa di entrare ai musei Civici di Caltagirone; affacciati dal Belvedere di Siracusa o nel vivace caos di Ballarò. Ma anche sulle pendici dell’Etna, caldissime, che sbuffano vapore nell’aria fredda! La loro preparazione è piuttosto laboriosa; il riso (Roma o Ribe) si cuoce a fuoco medio senza mai mescolare, in acqua salata con 1 bustina di zafferano, partendo da freddo, finché il riso non avrà assorbito tutta l’acqua (1,2 litri per 500 g) quindi va lasciato intiepidire in un contenitore largo.
Per il ragù occorrono una cipolla, una carota e un gambo di sedano sminuzzati, una foglia d’alloro, un pizzico di chiodi di garofano in polvere, 250 g di tritato di suino e bovino, mezzo bicchiere di vino bianco, un cucchiaio di concentrato di pomodoro, 100 g di piselli, sale e pepe. Terminata la cottura, far raffreddare, eliminare l’alloro, e unire 120 g di di caciocavallo grattugiato. Le arancine si preparano formando una palla con un pugno di riso, che va aperta e farcita con una piccola polpetta di ragù piuttosto asciutto (si può aggiustare con farina 00); richiuse e compattate, si passano in una pastella piuttosto liquida di acqua e farina e poi nel pangrattato. Si friggono completamente immerse nell’olio e vanno intiepidite su carta assorbente prima di servire.
Non meno famosi delle arancine, icona della Sicilia sono i cannoli, il cui ripieno è a base di ricotta di pecora o vaccina, secondo la zona. Canditi, granella di pistacchi o, nella variante messinese, gocce di cioccolato completano la gustosa, quanto nutriente specialità di origini saracene.